Il regista è Julian Schnabel, e dalla sua filmografia si capisce che è ossessionato dalle biografie/Biopic, avendo praticamente solo film di questo tipo in repertorio. Vincent van Gogh è invece interpretato da William Dafoe, il quale rende nella sua maniera molto teatrale e mimica una bella somiglianza col pittore fiammingo, quantomeno per l’immagine fisica che ci è arrivata. Da questa versione esce un Van Gogh dal carattere complicato, schivo, fragile, ma al tempo stesso capace di trasmettere un sentimento tra compassione e tenerezza. Il film è molto bello dal punto di vista visivo, e risulta anche coinvolgente, i colori della natura sono esaltati, quasi per farti percepire come vuole poi trasportarli in tela, che è anche la sua particolarità nel dipingere. Molto spesso la ripresa è fatta dal punto di vista di Vincent, e è spesso sfasata, in alcuni momenti a fuoco ma con una parte sfuocata, ed è tutto girato con una camera a mano. Nel corso del suo soggiorno a Arles la follia si accentua, nonostante le visite di Gauguin (Oscar Isaac), suo “idolo”, con cui però non mancano gli scontri per una diversa visione della pittura, e per una grande diversità di carattere . Nel suo incedere passo dopo passo verso l’insanità, non controlla più emozioni e reazioni, e episodi anche banali diventano drammatici e causano un suo isolamento sociale sempre più accentuato e addirittura il ricovero, in alcuni casi anche volontario, fino al momento della sua morte, piuttosto controverso, suicidio o omicidio accidentale.
Van Gogh, sulla soglia dell’eternità – 2018
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