Un immenso Anthony Hopkins annichilisce tutto il film, nonostante abbia accanto nel cast Olivia Colman, e il regista Florian Zeller autore anche della omonima pieces teatrale, confezioni una pellicola di ottima fattura che segue la confusione mentale del protagonista, con segmenti temporali stravolti, tra realtà e deformazione per la malattia. Hopkins è Anthony, un anziano ingegnere, vedovo, che scivola nella spirale dolorosa della demenza senile, in un incessante peggioramento delle proprie condizioni, tanto da alternare il presente con il passato, scambiare persone familiari, e attribuire volti e ruolo diversi a sconosciuti, in un incubo ad occhi aperti che coinvolge anche lo spettatore, che vive la stessa situazione di smarrimento e confusione del protagonista, con un trasporto emozionale forte e coinvolgente. Forse è la prima volta che la malattia viene vista dagli occhi del malato, una stretta allo stomaco costante che non deriva dal pietismo ma dall’angoscia che senti e vedi nei suoi occhi. E niente, nonostante il bel lavoro del regista, del resto del cast e delle musiche di Ludovico Einaudi, Hopkins è mostruoso.
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