Il calcio amatoriale è ormai una realtà sportiva che, pur vivendo ai margini dei fratelli più grandi semiprofessionistico e professionistico vero e proprio, probabilmente è rimasto l’ unico vero portatore di quei valori e di quello spirito sportivo con cui era nato il gioco del calcio. Senza nulla togliere ai livelli più organizzati e facoltosi, in un mondo come quello attuale in cui non è più possibile vedere giovani e bambini giocare per strada, è anche l’ ultima risorsa, l’ unica ancora di salvataggio, per un aggregazione spontanea e ludica. Affrontare ora e qui un analisi più approfondita del perché e dei vari motivi per cui un affezione verso le società sportive sia in declino non è compito mio né è possibile ridurre a tre parole messe in croce. Fatto rimane che il calcio amatoriale è una risorsa e sempre più un opportunità e non l’ultima spiaggia di giocatori a fine carriera o di brocchi scartati dalle squadre di categoria, argomento a me tanto più caro essendo agganciato io stesso ad una squadra di amatori, fin dal giorno della sua nascita. Essendo nato e cresciuto in Piombino, ho sempre sentito parlare di due squadre, con una sorta di mistico rispetto e ammirazione: il Mobilgronchi per il calcio a 11 e la “Montagne Rosa”, in cui militavano i migliori giocatori di calcio a 5 della città. L’ epopea della Mobilgronchi, squadra amatoriale nata negli anni ’70 a Piombino, che ci è raccontata in questo libro, a metà tra il documentaristico e il romanzo, da Riccardo Bartoletti, è la perfetta dimostrazione di quello spirito di comunità. Riccardo qui ci racconta una storia, iniziata in un bar, apparentemente per caso ma che caso non è davvero. Ci racconta attraverso ricordi e aneddoti messi in azione, una storia di sport e di calcio, senza però una vera cronaca sportiva, ma il romanzo (se mi permette di chiamarlo così), ne è saturo. Perché per la nascita e per il portare avanti questa nuova società, è fondamentale la ricerca di risorse, sia economiche, necessarie per affrontare le spese ordinarie di gestione, tra materiale, mute, e quanto altro, sia umane, nel senso stretto della parola, perché per portare avanti un progetto ci vuole in primis disponibilità, coesione e comunità di intenti, e un forte, fondamentale spirito di aggregazione tra le persone. Quello che Silverio Gronchi riuscì a fare è un piccolo grande miracolo sportivo, riunendo un gruppo di amici e costruendo una realtà che è durata circa trent’anni, passando da piccole rivoluzioni come l’introduzione di un allenatore, a fisiologici nuovi innesti necessari a rimpiazzare le uscite di giocatori per sopraggiunto limite di età. Questa realtà ha portato a una vera e propria mitologia della squadra, vincitrice di un numero impressionante di campionati tanto da essere stata soprannominata “la piccola Juventus”. Ripercorriamo quindi le storie calcistiche di Lupo, Liviano, Disturbo, Maurino, Silverio, ma anche Fabrizio e lo Sgherri, nati dirigenti e dirigenti nati, e tutti gli altri più caratteristici personaggi della Mobilgronchi, e li conosciamo attraverso le pagine del libro, non disdegnando però di romanzare e forse agghindare i ricordi con momenti umoristici, oltre a non tacere su piccoli alterchi e scontri verbali in seguito a una sconfitta o una decisione non da tutti condivisa. Ma è il gioco del calcio e il gioco della vita, e quello che conta è ciò che succede sempre dopo a questi momenti di tensione. Non nascondo che inizialmente sono stato spiazzato dalla strutturazione “a romanzo” del libro e un forte uso del vernacolo piombinese, credevo di avere qualcosa di più didascalico, ma passati i primi momenti, mi sono reso conto che in effetti era la maniera migliore per rendere più scorrevole e godibile la lettura, anche in rispetto di quelli che sono stati racconti e ricordi raccolti da Riccardo direttamente dalla bocca di chi li ha vissuti, quindi un impostazione diversa sarebbe stata troppo fredda e distaccata. È cominciato allora il gioco di rimettere facce e nomi al posto dei soprannomi con cui erano conosciuti i protagonisti della Storia che Riccardo racconta. Ed è stato un po’ triste arrivarne all’ epilogo, perché è scritto bene e scorrevole. Ma come ogni storia, anche questa ha una fine, anche se il mito rimarrà sempre in vita