
Avevo letto che era straziante e commovente, quindi ci ero arrivato preparato. Però che cavolo oh, non pensavo così. Isao Takahata, cofondatore assieme a Hayao Miyazaki del celebre Studio Ghibli, scrive e dirige questo film di animazione che supera perfettamente il corso dei quasi quaranta anni senza perdere lo smalto e il significato della Storia. Metto volutamente la S maiuscola perché la storia raccontata nel film è solo una delle tante Storie che si susseguono nei momenti durante e subito dopo una guerra, e non ha un tempo e un luogo univoco. Qui Takahata ci porta nel periodo a cavallo della resa del Giappone in seguito alle due bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki, di cui però non viene fatta menzione. Tra il giugno e fine settembre del 1945, in un paese ormai stremato dal conflitto, il giovane Seita e la sorellina Setsuko si ritrovano orfani in seguito alla morte della madre in un bombardamento e la quasi certa medesima fine del padre, militare a bordo di una nave, di cui non hanno più notizie da un po’. Seita si ritrova quindi a dover cercare di nascondere la loro situazione alla piccola Setsa, e allo stesso tempo trovare il modo di recuperare quel cibo necessario a sopravvivere, anche essere costretto a rubarlo per cercare di fermare il loro lento deperimento. Il film si apre con quello che è l’atto finale, per fare capire subito allo spettatore cosa aspettarsi e metterlo di fronte ad un doloroso ma inevitabile esito di ciò che porta un conflitto, ciò che comporta alla povera gente che lo subisce e non ha modo né di opporsi né di evitarne le conseguenze. Ed alla luce di tutte le situazioni di conflitto conosciute al momento attuale (Palestina, Ucraina) e anche a tutte quelle meno nominate perché di “minore interesse” risulta quanto mai di una triste attualità.