Puoi fare un corto in bianco e nero, ambientarlo in una stanza, con protagonisti te stesso e una scimmia cappuccina? Certo, se sei un fottuto pazzo o un fottuto genio.E in David Lynch, come ormai è chiaro, questi due lati collimano.E la cosa più bella e importante, è che qualunque cosa lui faccia, avrà sempre l’ammirazione dei fan, e quello ok, comprensibile, ma addirittura anche della critica, che non può fare,come spesso accade, una sorta di analisi cinica della trama, della regia o sceneggiatura, semplicemente perché manda talmente tanto in tilt il cervello di tutti, che quando stai cercando di capire una scena, sei già passato a quella successiva, mentre ti sforzi di seguire una battuta di un dialogo e soprattutto di dargli un senso all’interno di una scena o del dialogo stesso, hai già perso la battuta o la scena successiva che ti apriva un ulteriore dubbio o imbroglio mentale. Perché in fondo, Lynch è un imbroglione, ogni volta ti convince di riuscire a capirlo ma lui sfugge via nel suo mondo onirico fantastico, dove puoi ritrovare un poliziotto che interroga una scimmia cappuccina su di un omicidio, e sentire parlare di petti rigogliosi di una bella pollastrella, nel vero senso della parola, mentre sorseggianon un caffè nero come la notte in una waiting room di una stazione ferroviaria. Ed essere credibile. E riuscire a tenerti per 17 minuti attaccato allo schermo, per cercare di capire il senso di quello che cazzo hai visto e sentito. Ci ha regalato, per il suo compleanno, la distribuzione su Netflix di questo corto. Così dice. In realtà, il regalo se lo è fatto per sé, che si può mettere alla finestra a guardare quante persone parlano e vedono e si fanno scoppiare il gulliver per capirlo.Non si può non volergli bene.
What did Jack do? – 2019
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