Green Book – 2018
Altro recupero di un film vincitore di premi Oscar, in questo caso recente, nella premiazione del 2019. Qui sono tre le statuette assegnate, al Film, all’attore protagonista (Mahershala Ali) e alla sceneggiatura originale. Il regista (e co-sceneggiatore) è Peter Farrell, uno dei due fratelli Farrell, autori di ormai classici film demenziali o quasi, come Tutti pazzi per Mary, Scemo e più Scemo, Lo Spaccacuori ecc, e l’impronta leggera, nonostante il tema, segregazione e razzismo negli anni ’60 in Usa, sia tutto fuorché leggero. La trama? Praticamente un A spasso con Daisy a parti invertite, on the road nel profondo sud.Tony “Lip” Vallalonga (Viggo Mortensen), un tuttofare italo-americano, inizialmente pieno di pregiudizi, per necessità diventa autista/guardia del corpo e infine amico di Don Shirley (Mahershala Ali), un pianista di colore, impegnato in una tournée negli Stati del Sud in pieno periodo di segregazione razziale, quando piano piano il nord cominciava ad accettare una società multietnica, mentre le province del sud restavano ancorate al loro concetto di suprematismo. Don non è un soggetto facile. Di buona cultura e condizione economica, sa di non essere accettato né dai bianchi, per essere un colored, né dai neri per il suo essere un “damerino” e aver rifiutato le sue origini. E anche lui ha inizialmente dei pregiudizi verso Tony, per il suo essere arruffone, ignorante e anche un po’ mascalzone, cosa che in alcuni casi li toglie dai guai e in altri invece ce li mette (o comunque rischia). Ma durante il percorso insieme, riescono a capirsi, accettarsi e aiutarsi, fino a diventare davvero amici. La sceneggiatura, a cui ha partecipato anche il figlio di Tony, è tratta da una storia vera, e scorre bene, con i classici e un po’ scontati cliché sul pollo fritto e i picciotti italo-americani, ma comunque il film è godibile e piacevole. Ma anche qui ho optato per la lingua originale, perché il doppiaggio in italiano di un italo-americano veramente non si può sentire. In lingua originale rende meglio, Viggo Mortensen parla un inglese semplice e duro da comprendere, ed ogni tanto ci mette qualche parola in italiano, ma non sembra un finto siciliano americanizzato con quella cavolo di dizione che ormai si sente da anni nel cinema, che ha anche un po’ stuccato. Continua la mia perplessità nel doppiaggio italiano degli ultimi anni…
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