La Dolce Vita – 1960
Con alcuni classici ho sempre avuto un po’ di timore, tra cui le opere di Fellini. So che è vergogna, ma questo è il primo film del rinomato regista romagnolo che vedo. Per vari motivi ho sempre rimandato l’affrontare certi film, fino a quando non mi fossi sentito davvero pronto. Sono arrivato a quel momento, e quindi sono partito con uno dei più celebri. Che dire, non è stata una visione semplice, ma sono sopravvissuto. Ovviamente tutto ciò che scrivo ha valore relativo, è un mio punto di vista e un mio pensiero nato da ciò che ho visto e quello che mi ha passato. Quindi non sparate sul pianista. Non mi ha emozionato. Ecco, lo dico subito, così evito equivoci. L’ho guardato tutto, ho apprezzato ovviamente lo stile, ma non mi ha emozionato. È come se avessi guardato un documentario, sotto certi aspetti. E chiariamoci, mi sta anche bene eh. Ho trovato un po’ ostica l’ultima mezz’ora, forse anche perché è quella più allegorica e arriva dopo precedenti 2 ore e 20 di visione, ma tutta la parte della festa in villa, che avrebbe dovuto dare la chiosa al film, l’ho vissuta con un po’di stanchezza. Sicuramente colpa mia eh. Comunque, per il resto, solo complimenti. Innanzitutto è un enorme spaccato dell’Italia (o meglio, di una fetta della borghesia romana) all’alba dei ’60. Una vita gaudente, di eccessi, di feste, locali, belle donne, vip…un orgia di opulenza e futilità, ma la pellicola offre vari spunti, tra cui episodi di fanatismo religioso, legato ad una presunta apparizione della Madonna a due bambini, con una folla estasiata in attesa della ripetizione del miracolo, ma soprattutto la spettacolarizzazione di ogni cosa da parte dei media, con una presenza costante di giornalisti e fotografi invadenti, sensazionalistici e opprimenti. Praticamente in 60 anni non è cambiato niente, e riguardarlo in periodo di coronavirus e varie trasmissioni spazzatura, fa anche sorridere, come nel Gattopardo, cambia tutto per non cambiare nulla. Tra l’altro, doviamo a questo film la nascita del termine paparazzo, che è il nome di un personaggio del film, un fotografo amico di Marcello. Ovviamente è superfluo rammentare che il protagonista, il giornalista frivolo e farfallone Marcello Rubino, è Marcello Mastroianni, lo sanno anche i muri, così come una delle protagoniste femminili è la giunonica Anita Ekberg, ma tutto il cast femminile è di una bellezza disarmante, tra cui Anouk Aimee, ma anche Yvonne Furneaux e Magali Noel, tutte star del tempo. Veramente affascinante vedere la Roma fisica degli anni 60, con già alcuni aspetti caotici di traffico, ma che rispetto ad ora sono barzellette, ma soprattutto una Roma meno asfissiante dal punto di vista architettonico e urbano. Dal punto di vista della regia, la fotografia è molto particolare, con personaggi che si muovono quasi in una coreografia, attraversando l’inquadratura da prospettive e angoli diversi, in modo fintamente casuale. Nota di biasimo l’audio, purtroppo salta da basso ad alto a seconda di dove è posizionato il figurante, e il fuori campo è faticoso sentirlo, ma questo nonostante il restauro che ha avuto la pellicola è figlio dei tempi. Che dire, un film comunque affascinante, è giusto vederlo.
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