Rorouni Kenshin Saga

Kenshin Himura è un giovane quanto spietato samurai, conosciuto con il nome di Battosai, il tagliatore di uomini, per la sua veloce e letale tecnica di sfoderare la katana in combattimento contro l’esercito dello shogunato Takagowa in favore della restaurazione Meiji per l’imperatore. Finita la guerra, combattuto dai sensi di colpa per gli spargimenti di sangue, giura di non uccidere più e diventare un samurai vagabondo, per aiutare i deboli e bisognosi, utilizzando una katana a lama invertita. È così che conosce la signorina Kaoru, titolare di un dojo, il piccolo e coraggioso orfanello Yahiko, e Sanosuke, un attaccabrighe ma dal cuore buono. Ma il nuovo governo sarà turbato da attacchi da parte di nemici, che per vendetta o sete di potere minacciano la pace raggiunta, e Kenshin, supportato dai suoi amici e dal commissario Saito, suo ex avversario in battaglia, dovrà combattere per mantenere la pace. Il manga di Nobuhiro Watsuki è uno dei pochissimi che ho letto nella mia vita, grazie alle edizioni Kappa Extra e StarComics, e con piacere ho trovato su Netflix la trasposizione cinematografica che vede Takeru Sato nei panni del protagonista. La saga si compone di 4 episodi e un prequel (anche se in realtà 2 e 3 vanno considerati una storia unica) e li ho trovati di buona fattura.Innanzitutto il primo episodio è molto fedele nello spirito e nella trasposizione al materiale cartaceo, e i personaggi principali sono ben caratterizzati e somiglianti sia nelle fattezze che nel comparto espressioni e atteggiamento originali. Il capitolo Inferno è suddiviso come detto in due parti, e cambia un po’ la quasi leggerezza del primo film in una drammaticità crescente, e una maggior presenza di sangue e combattimenti, in uno stile molto più dark.Esattamente come l’ultima trasposizione, The Final, che resta bella tosta come rappresentazione ma forse dei tre è la più debole.Oltre alla colonna sonora, che mi è piaciuta ed è molto presente nel film, ciò che ho trovato interessante sono le coreografie di combattimento, spesso composte da molti personaggi in campo, in cui non ho notato eccessivi usi del green screen e troppi artefici scenici, ma abbastanza genuine e ben orchestrate. Altro bel punto a favore le scenografie, che ti trasportano nella Tokyo e nella Kyoto a cavallo tra feudalesimo e modernità.Nel complesso ritengo valga la pena indicarli con consiglio per chi ha letto e amato il manga, a chi è affascinato dalle rappresentazioni del Giappone feudale del XIX secolo, e chi apprezza le coreografie ben eseguite d combattimento.
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