Rashomon -1950
È difficile, a distanza di più di 70 anni, commentare un film. È difficile perché, in primis, la cultura di origine è diversa, essendo questo asiatico, ma non solo, gli intrecci narrativi utilizzati qui, sono poi stati riutilizzati decine di volte negli anni successivi, quindi se da una parte adesso da una sensazione di già visto, ne va riconosciuta la grandezza e l’originalità di quando furono messi in atto, e di come, successivamente, siano stati presi ad esempio. Viene facile quindi parlare di capolavoro, che lo è, ma non ho le capacità di “leggere” un film del genere in maniera adeguata agli stili messi in atto da Kurosawa nella regia, che nella pellicola mantiene un ritmo tuttora non banale e tocca temi importanti, sulla variabilità del punto di vista, sull’autoattribuzione di valori morali non corrispondenti alla realtà, e sulla corruttibilità dell’animo umano e la sua volubilità. L’espediente narrativo che mette in moto la pellicola, è l’incontro fortuito tra tre sconosciuti sotto Rashomon, la porta di ingresso sud a Tokyo durante un intenso giorno di pioggia, motivo per cui i tre si riparano, appunto, sotto la porta. Siamo nel periodo Heian, a cavallo dell’anno 1000, e un vagabondo, appena arrivato, raccoglie le confidenze degli altri due, un prete e un boscaiolo, che hanno assistito in prima persona, in momenti diversi, ad una terribile storia legata ad un omicidio di un samurai, ed alle confessioni rilasciate di fronte al tribunale (lo spettatore) dei protagonisti della vicenda, il bandito Tajumaro (Toshiro Mifune), la moglie dell’ucciso, e il morto attraverso una medium. Tutti i partecipanti daranno la propria versione, in cui ognuno naturalmente arricchisce e veicola il racconto per esaltare le proprie virtù o comunque migliorare la propria immagine (non necessariamente in senso positivo). Ma, c è una quarta versione, forse vera, forse no, che farà miglior luce sulla storia. E per il monaco, gravato da forti turbamenti sulla considerazione della natura umana, ci sarà, nel finale, una luce di speranza. Pellicola notevole, veramente, per cosa mette in scena e per il come.
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